mercoledì 27 giugno 2018
venerdì 22 giugno 2018
giovedì 21 giugno 2018
Appar(ten)enza
Qualche anno fa, a quest'ora, mi diplomavo. Vi presento dunque, per tale occasione, la mia tesina del liceo.
Altri esempi di massificazione - appar(ten)enza - si possono trovare nei seguenti argomenti.
«Se non vivessimo in una società, non sapremmo quanto siamo imperfetti.
Se fossimo soli non sapremmo che cosa ci manca, non saremmo coscienti dei nostri difetti,
perché potremmo plasmare tutto ciò che ci circonda su di noi, inventare tutto nella creazione di un mondo nostro.
Potremmo basare il mondo su noi, e non essere plasmati da esso.
E... Difetti? Chi lo stabilisce?
E’ il vivere in una società che ci rende inadeguati, l'elemento delle nostre vite che fa sì che dobbiamo in qualche modo cambiare per inserirci, per essere compresi e sentirci migliori, e più completi.
Dobbiamo conformarci, fuori e in qualche modo anche dentro, per poter essere accettati da tutti gli altri, per essere “normali”.»
~ Sear Greyson
Ho scelto questo sfondo per tre motivi.
Primo, il cuore è da sempre simbolo di ciò che sta dentro di noi, che è quello che io ritengo più importante; ed è alla luce di questo che ho deciso di affrontare questo argomento, quello della apparenza come elemento che stabilisce la nostra appartenenza ad un gruppo, in quanto siamo definiti per quello che sembriamo.
Secondo, è proprio da una parte anatomica che comincia il libro che ha condotto il mio ragionamento, anche se una parte esteriore, proprio come quelle da cui si giudica normalmente. - Che è quella da cui si dovrebbe partire, come suggerisce anche Oliviero Toscani con uno dei suoi provocatori scatti...
Campagna pubblicitaria anti-razzismo di Oliviero Toscani (per la United Colors of Benetton). |
Terzo, ha dato forma al mio percorso tematico, che parte dai due temi centrali di "Uno Nessuno Centomila" (l'incidenza che il giudizio altrui ha su di noi e l'ermeneutica), per poi riunirsi nell'opera e nel simile autore Unamuno, e dispiegarsi in esempi quali l'escluso di Mary Shelley, la volontà di conformarsi che spinge all'anoressia, la strumentalizzazione di questa tendenza praticata dai totalitarismi.
«L’Enfer, c’est les autres.»
La première question qui se posent trois personnes qui ne se connaissent pas mais qui se trouvent dans la même salle est: "Où sommes-nous?"
Ils savent seulement qu'ils sont morts, mais ils ne veulent quand-même l'admettre. Lorsqu'ils sont en train de parler, ils font un parcours de connaissance qui lui porte a découvrir deux vérités.
Premièrement, ils apprennent que ils ont tous commis des péchés: Inès a conduit l'homme de son amante au suicide, Estelle a tiré son fils par la fenêtre en le tuant, Garcin a déserté.
En deuxième lieu, ils – et en particulier Garcin – comprennent que chacun d'entre eux fera souffrir les autres: Inès est tombée amoureuse de la belle Estelle, mais Estelle ne peut pas la correspondre, comme elle veut Garcin. Garcin, de son coté, est attiré par elle, mais son premier intérêt est celui de démontrer, à ceux qui doivent le juger et à soi même aussi, qu'il n'est pas un lâche - objectif qu'il n'obtiendra jamais, parce que la seule qui comprend sa coupe, et donc la seule qui peut vraiment l'acquitter/absoudre, c'est-à-dire Inès, est trop dure pour admettre qu'il n'est pas coupable.
De cette condition de souffrance qui n'aura jamais de résolutions ils ne peuvent pas sortir, comme ils sont morts: rien qui appartient au monde des vivants peut avoir aucun rapport avec eux, et donc ils ne peuvent pas vraiment sortir de la chambre, même si la porte est ouverte. C'est la raison pour laquelle Garcin peut établir qu'ils se trouvent à l'Enfer: ils sont morts, et eux-mêmes ils sont la punition pour ce qu'ils ont fait, et cette punition est infinie comme ils existent n'importe quoi ils puissent faire.
C'è poi un'altra teoria, che sotto il nome di ermeneutica si è sviluppata sin dall'antichità in riferimento alle leggi ed ai testi teologici: la impossibilità di stabilire significati univoci a causa della soggettività dell'interpretazione. Questa ottenne grande riscontro a partire dal 1883, quando venne pubblicato "Così Parlò Zarathustra" dove un nuovo profeta dichiara: "Dio è morto", da cui consegue l’inesistenza di canoni superiori ed inconfutabili (dogmatici) ovvero l’ermeneutica moderna, in cui tutto è soggetto ad interpretazione. Ne è un esempio la genealogia della morale dove emerge quanto i valori siano stabiliti ed imposti dal gruppo dominante – la relatività di questi valori secondo Nietzsche si rispecchia nel contrasto morale Cristiana-morale illuminista: nel primo caso si tratta di una morale imposta da Dio, nel secondo imposta dalla ragione.
Altro risvolto dell'ermeneutica moderna è dato da Heidegger, il quale teorizza che già il linguaggio insegnato all’individuo ne condiziona la comprensione. Filosofo dell'ermeneutica per eccellenza è però Gadamer, che nel suo scritto "Verità e Metodo" del 1960 analizza i metodi delle interpretazioni per chiarirne le possibilità giungendo ad una conclusione: la verità è la "fusione di orizzonti". Vede quindi in chiave positiva l'incontro fra due interpretazioni differenti, in quanto a suo parere arricchiscono entrambi gli interlocutori, che hanno visioni diverse poiché hanno "linee orientative provvisorie" (ovvero conoscenze a priori) differenti.
En deuxième lieu, ils – et en particulier Garcin – comprennent que chacun d'entre eux fera souffrir les autres: Inès est tombée amoureuse de la belle Estelle, mais Estelle ne peut pas la correspondre, comme elle veut Garcin. Garcin, de son coté, est attiré par elle, mais son premier intérêt est celui de démontrer, à ceux qui doivent le juger et à soi même aussi, qu'il n'est pas un lâche - objectif qu'il n'obtiendra jamais, parce que la seule qui comprend sa coupe, et donc la seule qui peut vraiment l'acquitter/absoudre, c'est-à-dire Inès, est trop dure pour admettre qu'il n'est pas coupable.
De cette condition de souffrance qui n'aura jamais de résolutions ils ne peuvent pas sortir, comme ils sont morts: rien qui appartient au monde des vivants peut avoir aucun rapport avec eux, et donc ils ne peuvent pas vraiment sortir de la chambre, même si la porte est ouverte. C'est la raison pour laquelle Garcin peut établir qu'ils se trouvent à l'Enfer: ils sont morts, et eux-mêmes ils sont la punition pour ce qu'ils ont fait, et cette punition est infinie comme ils existent n'importe quoi ils puissent faire.
C'è poi un'altra teoria, che sotto il nome di ermeneutica si è sviluppata sin dall'antichità in riferimento alle leggi ed ai testi teologici: la impossibilità di stabilire significati univoci a causa della soggettività dell'interpretazione. Questa ottenne grande riscontro a partire dal 1883, quando venne pubblicato "Così Parlò Zarathustra" dove un nuovo profeta dichiara: "Dio è morto", da cui consegue l’inesistenza di canoni superiori ed inconfutabili (dogmatici) ovvero l’ermeneutica moderna, in cui tutto è soggetto ad interpretazione. Ne è un esempio la genealogia della morale dove emerge quanto i valori siano stabiliti ed imposti dal gruppo dominante – la relatività di questi valori secondo Nietzsche si rispecchia nel contrasto morale Cristiana-morale illuminista: nel primo caso si tratta di una morale imposta da Dio, nel secondo imposta dalla ragione.
Altro risvolto dell'ermeneutica moderna è dato da Heidegger, il quale teorizza che già il linguaggio insegnato all’individuo ne condiziona la comprensione. Filosofo dell'ermeneutica per eccellenza è però Gadamer, che nel suo scritto "Verità e Metodo" del 1960 analizza i metodi delle interpretazioni per chiarirne le possibilità giungendo ad una conclusione: la verità è la "fusione di orizzonti". Vede quindi in chiave positiva l'incontro fra due interpretazioni differenti, in quanto a suo parere arricchiscono entrambi gli interlocutori, che hanno visioni diverse poiché hanno "linee orientative provvisorie" (ovvero conoscenze a priori) differenti.
«Mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, [...]
cioè vedevano in me ciascuno un Moscarda [...],
tanti Moscarda quanti essi erano, e tutti più reali di me
che non avevo per me stesso, ripeto, nessuna realtà.»
Ma se la verità sta nel compromesso, e questo riguarda tutto quindi anche le persone, alla fine chi finiamo per essere? E' questa l'origine della crisi dell'individuo che si sente frammentato con il delinearsi del ventesimo secolo. E' di questo che tratta Pirandello in "Uno Nessuno e Centomila" (1926): ogni individuo cerca di costruire se stesso, in quanto è personalizzando che l'uomo comprende ciò che lo circonda, ma è solo una mera illusione perché non soltanto in realtà gli altri ci vedono in maniera differente, ma anche noi stessi non abbiamo una chiara immagine di chi siamo in quanto mutiamo continuamente. Questa è l'influenza di Binet: l'individuo non è una personalità unica, ma è come un ciclo continuo che non rimane mai uguale a se stesso. In questo periodo d'altronde ha un enorme successo la teoria del tempo di Bergson, secondo la quale tutto è soggettivo.
Vitangelo realizza il contrasto fra l'idea che abbiamo di noi e quella che gli altri hanno di noi a partire dalla consapevolezza acquisita solo all'inizio del romanzo di avere il naso storto. Capisce in questo momento che tutti sentono le sue idee dando loro "il suo naso", e che nessuno lo ha mai visto come lui si vedeva. Cerca così di cogliersi come appare agli altri, ed è solo successivamente che realizza che ognuno ha una sua visione personale di lui. Per questo tenta di distruggere tutte le facce attribuitegli, attraverso delle "pazzie per forza", per poter trovare il vero se stesso, ma non riesce nel suo intento poiché pur mutando le centomila forme rimane centomila, sia per la forza delle idee che gli altri si sono fatti di lui, sia perché in realtà un vero "lui" non esiste, per cui è impossibile che venga colto, anche da lui stesso.
En este tema también se inserta Unamuno, el filósofo de la generación de 98: él afirma - como Pirandello - que en todos los hombres la personalidad no es única, sino "un flujo vivo de contradicciones" y entonces hay una crisis de identidad individual que induje cadauno a una búsqueda de si mismo y de vitalismo. Pero este tentativa de "serse" no puede que quedarse incumplida, como la realidad y la verdad no existen: nunca se puede estar seguros de lo que sabemos, y entonces somos todos atrapados en el sentimiento trágico de la vida. (Por esto Unamuno rechaza el racionalismo que tanto succeso tiene a la época.)
El escape para los dos autores es el humorísmo, estúdio destacado y un poco amargo de lo que los rodea, y es encarnado muy bien por el personaje de Cervantes, don Quijote, más vivo que su autor porque personaje de ficción, y entonces inmortal.
Unamuno mísmo, cuando descubre la existencia de tan símil autor – gracias a la difusión de la traducción en italiano de "Niebla", en 1922 – quiere analizar las analogías, en un artículo publicado en "La Nación" en 1923, "Pirandello Y Yo"; el filósofo ententa explicar la razón de esta similitud de dos autores que nunca se habían conocido: él habla de un "yo trascendente", o "yo histórico", cuyas características son reveladas por parte de los acotecimientos históricos.
Vitangelo realizza il contrasto fra l'idea che abbiamo di noi e quella che gli altri hanno di noi a partire dalla consapevolezza acquisita solo all'inizio del romanzo di avere il naso storto. Capisce in questo momento che tutti sentono le sue idee dando loro "il suo naso", e che nessuno lo ha mai visto come lui si vedeva. Cerca così di cogliersi come appare agli altri, ed è solo successivamente che realizza che ognuno ha una sua visione personale di lui. Per questo tenta di distruggere tutte le facce attribuitegli, attraverso delle "pazzie per forza", per poter trovare il vero se stesso, ma non riesce nel suo intento poiché pur mutando le centomila forme rimane centomila, sia per la forza delle idee che gli altri si sono fatti di lui, sia perché in realtà un vero "lui" non esiste, per cui è impossibile che venga colto, anche da lui stesso.
En este tema también se inserta Unamuno, el filósofo de la generación de 98: él afirma - como Pirandello - que en todos los hombres la personalidad no es única, sino "un flujo vivo de contradicciones" y entonces hay una crisis de identidad individual que induje cadauno a una búsqueda de si mismo y de vitalismo. Pero este tentativa de "serse" no puede que quedarse incumplida, como la realidad y la verdad no existen: nunca se puede estar seguros de lo que sabemos, y entonces somos todos atrapados en el sentimiento trágico de la vida. (Por esto Unamuno rechaza el racionalismo que tanto succeso tiene a la época.)
El escape para los dos autores es el humorísmo, estúdio destacado y un poco amargo de lo que los rodea, y es encarnado muy bien por el personaje de Cervantes, don Quijote, más vivo que su autor porque personaje de ficción, y entonces inmortal.
Unamuno mísmo, cuando descubre la existencia de tan símil autor – gracias a la difusión de la traducción en italiano de "Niebla", en 1922 – quiere analizar las analogías, en un artículo publicado en "La Nación" en 1923, "Pirandello Y Yo"; el filósofo ententa explicar la razón de esta similitud de dos autores que nunca se habían conocido: él habla de un "yo trascendente", o "yo histórico", cuyas características son reveladas por parte de los acotecimientos históricos.
«En lo poco que hasta ahora conozco del escritor siciliano, he visto como en un espejo,
muchos de mis propios más íntimos procederse y más de una vez me he dicho leyéndole:
“¡ Lo mismo habría dicho yo!”
Y estoy casi seguro de que así como yo nada conocía de Pirandello,
él, Pirandello no conocía lo mío.»
La società, che tende ad ammassarsi, ha dunque un ruolo cruciale nel definire le caratteristiche di un individuo, che se rimane differente viene isolato: ne è un esempio l’artista nel quadro "Sera sulla via Karl Johan" del 1892, che appare come una macchia scura sullo sfondo, lontano dalla massa spersonalizzata e conformata resa attraverso visi tutti uguali e la uniformità del colore scuro. Questo dipinto che denuncia l’alienazione della fine del diciannovesimo secolo rappresenta in particolare la borghesia, indifferente e disumanizzata.
"Sera sulla via Karl Johan" ("Aften på Karl Johan"), Edvard Munch. 1892 |
Altri esempi di massificazione - appar(ten)enza - si possono trovare nei seguenti argomenti.
«My sufferings were augmented also by
the oppressive sense of the injustice and ingratitude of their infliction.
My daily vows rose for revenge-a deep and deadly revenge,
such as would alone compensate for the outrages and anguish I had endured.»
The Monster made by Frankenstein is good. He wants to be loved, or at least accepted, but he can't because the others are too superficial to see beyond his bad appearance. He's big and deformed, yellow-skinned, he's got black lips and watery eyes, and this is why people escapes from him right away, even his creator: Frankenstein just rushes away, the inhabitants of the village where the Monster goes are suddenly afraid and throw sharp objects to him. He must hide to get cultivated but this isn't enough: people don't care about his inner being, they just see his surface: even when he saves a girl from drowning he’s suspected of having a by-end. In fact the only one who listens to him, and accepts him, is a blind man. Anyway, in the end he stays alone – the only one who could understand him, his companion, has been killed by Frankenstein before being brought to life. This treatment, this continuous rejection is the element which makes him turn into bad. By retaliating he becomes what the others expected him to be.
«Sul cartellone c'è la foto di una donna.
O, almeno, di una creatura di sesso femminile,
a giudicare dalle due piccole sacche di pelle rugosa che pendono al posto dei seni.
Sì, perché di fronte all'obiettivo c'è una creatura completamente nuda.
Seduta su uno sfondo grigio sfumato, una gamba allungata
e l'altra leggermente piegata in modo che solo il pube sfugga allo sguardo.
Le ossa, in compenso, si vedono bene.
Mi fa vergognare questa foto. Perché è la mia foto.»
L'Anoressia Nervosa è una delle più diffuse (o almeno delle più discusse) forme di DPA, Disturbi Alimentari Psicogeni, ovvero problemi nutrizionali dovuti a riflessi psicologici di varia natura, con origini non del tutto chiarite ma comprendenti certamente fattori sociali come l'imitazione di modelli proposti, facilmente seguiti dalle adolescenti – le più colpite dalla malattia – le quali hanno bisogno di sicurezze e punti di riferimento e non sono ancora formate. Alcune case di moda non hanno però alcun interesse a contrastare questa piaga che colpisce il mondo industrializzato: si continua infatti ad ergere a simboli della femminilità donne magrissime, talvolta modificate in foto – e quindi irrealizzabili – o malate. Sono stati individuati e monitorati oltre 150 siti che promuovono quella che viene amichevolmente chiamata "Ana", l'"ideale" di bellezza che porta con sé consigli su come dimagrire il più possibile e anche contatori di calorie interattivi. Ma per fortuna vi sono organizzazioni che contrastano quest'avanzata, cui aderisce lo stesso Vogue sul quale compare l'articolo che fornisce questi dati. Fra questi s'inserisce anche Isabelle Caro, la famosa modella che morì nel 2010 di questa malattia che l'aveva colpita sin dall'inizio della pubertà, per, come scrive lei, il desiderio inconscio di piacere alla madre.
«Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto,
ma l'individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione,
fra vero e falso non esiste più.»
I totalitarismi non sarebbero nati senza l'aiuto delle masse, manipolate dal potere: vennero sfruttati odii storici per dare una identità comune e una valvola di sfogo alla popolazione per mezzo di un tipo del tutto nuovo di emarginazione, che è l'antisemitismo del Novecento, differente secondo Arendt dai precedenti perché di carattere politico, economico e sociale. Gli Ebrei s'inserivano perfettamente nel progetto di controllo nazista:
- erano diversi, ai margini della società, e possedevano disponibilità economica nella crisi, per cui potevano facilmente attrarre l'odio della cosiddetta "plebe", quella classe esclusa dalla società che a causa della sua propensione all'essere manipolata ideologicamente aveva già avuto il potere di far affermare l'imperialismo;
- in quanto auto-esclusosi dalla società, gli Ebrei poterono anche essere fatti apparire come un corpo politico a sé stante, potenzialmente pericoloso. Ne è un esempio il caso Dreyfus, che dal 1894 aveva diviso la Francia in due in quanto influenzata da una falsificazione di documenti che indicavano la volontà degli Ebrei di fare un colpo di Stato.
Tutto questo si mascherò dietro il conformismo giungendo al rifiuto biologico della "razza": gli stessi Ebrei, in quanto disinteressati dall'ambito politico, ne scambiarono gli effetti per puro riflesso dell'odio nei loro confronti.
Ha permesso che ciò fosse possibile anche il fatto che i diritti universali proclamati dopo la prima guerra mondiale non venissero effettivamente applicati a tutti indiscriminatamente, ma ne venissero esclusi tutti quelli che Arendt definisce "apolidi", che non erano inseriti in una realtà politica, tra cui, per l'appunto, gli Ebrei, i quali non avevano un vero e proprio Stato pur essendo una nazione.
Questo è quanto afferma Arendt nella sua opera "Le origini del totalitarismo" (1951), dove analizza gli elementi del nazismo, ovvero i problemi preesistenti che ne hanno influenzato l'esito. Questi elementi sono l'antisemitismo, il decadimento dello stato nazionale, il razzismo, l'espansionismo fine a sé stesso e l'alleanza fra il capitale e le masse, e dietro ognuno di esso vi sono ulteriori elementi, "problemi irreali ed irrisolti".
«Se non vivessimo in una società, non sapremmo quanto siamo imperfetti.
Se fossimo soli non sapremmo che cosa ci manca, non saremmo coscienti dei nostri difetti,
perché potremmo plasmare tutto ciò che ci circonda su di noi, inventare tutto nella creazione di un mondo nostro.
Potremmo basare il mondo su noi, e non essere plasmati da esso.
E... Difetti? Chi lo stabilisce?
E’ il vivere in una società che ci rende inadeguati, l'elemento delle nostre vite che fa sì che dobbiamo in qualche modo cambiare per inserirci, per essere compresi e sentirci migliori, e più completi.
Dobbiamo conformarci, fuori e in qualche modo anche dentro, per poter essere accettati da tutti gli altri, per essere “normali”.»
~ Sear Greyson
«Io sono per la chirurgia etica:
bisogna rifarsi il senno.»
~ Alessandro Bergonzoni
bisogna rifarsi il senno.»
~ Alessandro Bergonzoni
mercoledì 13 giugno 2018
Auto-reading challenge: fase 3
Ecco come procede la mia auto-challenge... con molte letture extra, perché adoro i libri <3
"Un avvocato dell'avvenire", Valentino Carrera. Varie ed eventuali.
Lo avevo scaricato (dal sito liberliber.it) per leggerlo l'anno scorso, ma ho deciso di affrontarne le poche pagine quest'anno. Sono rimasta piacevolmente colpita: si tratta di una lettura leggera, perché divertente e satirica, sebbene tratti un argomento troppo attuale - che molto bene viene spiegato nell'introduzione di questa edizione, come ho potuto apprezzare perché mi ha fatto meglio cogliere la vicenda. Molto familiari anche i personaggi, e l'ipocrisia che ne permea i discorsi.
"Una ragazza bugiarda", Ali Land. Varie ed eventuali.
Questo romanzo sarebbe stato impossibile da scrivere se non così magistralmente, soprattutto perché in prima persona. E a tale straordinario stile si è sposata l'esperienza in psicologia dell'autrice, regalandoci una storia drammatica, coinvolgente, toccante, affascinante, sorprendente, dal dettaglio pazzesco. Mi ha lasciata senza parole: per i risvolti della trama, per certe scelte stilistiche perfette, per la caratterizzazione minuziosa dei personaggi. Magnifico, e consigliato per stomaci un po' forti che apprezzano l'originalità e i romanzi psicologici-gialli.
"L'Assassino di Corte", Robin Hobb. Varie ed eventuali.
Lo vidi in una bancarella, che mi faceva l'occhiolino. Possedendo già il primo della trilogia non potei resistere dall'acquistarlo.
Strabiliante vedere quanto sia diverso dal libro precedente, quasi fosse una storia nuova. Avevo definito l'autrice "camaleontica" nel suo stile: lo confermo nel vedere come si arricchisce la prospettiva nella crescita del personaggio principale e anche nello sviluppo di tutti gli altri, piacevolmente tornati. Kettricken e Veritas sono due personaggi bellissimi, anche se tutti lo sono, a modo loro, riuscendo a differenziarsi significativamente gli uni dagli altri. La storia, poi, è molto più veloce ed intricata, annodata alla perfezione in un bellissimo parallelismo e poi in una rete davvero inaspettata, che spero di poter sciogliere presto (soprattutto per non dimenticare gli intrecci, anche se l'autrice è stata così gentile da ricapitolare il libro precedente nel primo capitolo).
"Circondati da psicopatici", Barbel Mechler. Un libro sulla percezione.
Non si tratta propriamente di un libro sulla percezione, tuttavia era proprio il tipo di introspezione-percezione in cui necessitavo di immergermi per il libro che vorrei in un futuro scrivere, "Brotherhood".
Sicuramente utile per chi viva esperienze con narcisisti o prepotenti, questo saggio aiuta chi lo legga a riconoscere queste persone, a farsi esami di coscienza, a capire come si debba agire in date situazioni. Però bisogna porre molta attenzione durante la lettura, perché ci sono generalizzazioni strane e affermazioni superficiali, nonché (rarissimi) riferimenti a pseudoscienze strane. Scritto con cura e con benevolenza, è però opera di una esperta di comunicazione, e non di psicologia, dunque chiunque voglia saperne di più sull'argomento certamente dovrebbe consultarsi con qualche psicologo o psichiatra o quantomeno svolgere un ricerca in articoli scientifici.
L'edizione è molto bella, colorata anche nelle sue pagine.
"Il cavaliere inesistente", Italo Calvino. Un libro della lista dei libri da leggere.
Unico della trilogia de "I nostri antenati" che mi mancava di leggere - peccato non ricordare cosa ne dicemmo a scuola: andrò a curiosare per scoprirlo di nuovo, molto meglio.
Mi è piaciuto moltissimo: scritto divinamente, è profondo, divertente, triste, romantico, scettico, ricco di significato e di personalità e persone, seppur molto breve. Non ho apprezzato al cento per cento il finale, ma il resto sì e dunque lo considero comunque bellissimo per bambini, ragazzi, adulti, di tutti i secoli. Così Calvino, ancora una volta, non mi delude, spingendomi a voler leggere qualcos'altro di suo.
E voi, cosa pensate di questi libri? Se non li avete letti, vorreste leggerli?
Per tutte le mie recensioni: http://seargreyson.blogspot.com/search/label/Recensioni.
A presto!
"Un avvocato dell'avvenire", Valentino Carrera. Varie ed eventuali.
Lo avevo scaricato (dal sito liberliber.it) per leggerlo l'anno scorso, ma ho deciso di affrontarne le poche pagine quest'anno. Sono rimasta piacevolmente colpita: si tratta di una lettura leggera, perché divertente e satirica, sebbene tratti un argomento troppo attuale - che molto bene viene spiegato nell'introduzione di questa edizione, come ho potuto apprezzare perché mi ha fatto meglio cogliere la vicenda. Molto familiari anche i personaggi, e l'ipocrisia che ne permea i discorsi.
Questo romanzo sarebbe stato impossibile da scrivere se non così magistralmente, soprattutto perché in prima persona. E a tale straordinario stile si è sposata l'esperienza in psicologia dell'autrice, regalandoci una storia drammatica, coinvolgente, toccante, affascinante, sorprendente, dal dettaglio pazzesco. Mi ha lasciata senza parole: per i risvolti della trama, per certe scelte stilistiche perfette, per la caratterizzazione minuziosa dei personaggi. Magnifico, e consigliato per stomaci un po' forti che apprezzano l'originalità e i romanzi psicologici-gialli.
"L'Assassino di Corte", Robin Hobb. Varie ed eventuali.
Lo vidi in una bancarella, che mi faceva l'occhiolino. Possedendo già il primo della trilogia non potei resistere dall'acquistarlo.
Strabiliante vedere quanto sia diverso dal libro precedente, quasi fosse una storia nuova. Avevo definito l'autrice "camaleontica" nel suo stile: lo confermo nel vedere come si arricchisce la prospettiva nella crescita del personaggio principale e anche nello sviluppo di tutti gli altri, piacevolmente tornati. Kettricken e Veritas sono due personaggi bellissimi, anche se tutti lo sono, a modo loro, riuscendo a differenziarsi significativamente gli uni dagli altri. La storia, poi, è molto più veloce ed intricata, annodata alla perfezione in un bellissimo parallelismo e poi in una rete davvero inaspettata, che spero di poter sciogliere presto (soprattutto per non dimenticare gli intrecci, anche se l'autrice è stata così gentile da ricapitolare il libro precedente nel primo capitolo).
"Circondati da psicopatici", Barbel Mechler. Un libro sulla percezione.
Non si tratta propriamente di un libro sulla percezione, tuttavia era proprio il tipo di introspezione-percezione in cui necessitavo di immergermi per il libro che vorrei in un futuro scrivere, "Brotherhood".
Sicuramente utile per chi viva esperienze con narcisisti o prepotenti, questo saggio aiuta chi lo legga a riconoscere queste persone, a farsi esami di coscienza, a capire come si debba agire in date situazioni. Però bisogna porre molta attenzione durante la lettura, perché ci sono generalizzazioni strane e affermazioni superficiali, nonché (rarissimi) riferimenti a pseudoscienze strane. Scritto con cura e con benevolenza, è però opera di una esperta di comunicazione, e non di psicologia, dunque chiunque voglia saperne di più sull'argomento certamente dovrebbe consultarsi con qualche psicologo o psichiatra o quantomeno svolgere un ricerca in articoli scientifici.
L'edizione è molto bella, colorata anche nelle sue pagine.
"Il cavaliere inesistente", Italo Calvino. Un libro della lista dei libri da leggere.
Unico della trilogia de "I nostri antenati" che mi mancava di leggere - peccato non ricordare cosa ne dicemmo a scuola: andrò a curiosare per scoprirlo di nuovo, molto meglio.
Mi è piaciuto moltissimo: scritto divinamente, è profondo, divertente, triste, romantico, scettico, ricco di significato e di personalità e persone, seppur molto breve. Non ho apprezzato al cento per cento il finale, ma il resto sì e dunque lo considero comunque bellissimo per bambini, ragazzi, adulti, di tutti i secoli. Così Calvino, ancora una volta, non mi delude, spingendomi a voler leggere qualcos'altro di suo.
E voi, cosa pensate di questi libri? Se non li avete letti, vorreste leggerli?
Per tutte le mie recensioni: http://seargreyson.blogspot.com/search/label/Recensioni.
A presto!
martedì 12 giugno 2018
Fare del bene cercando su Internet: Ecosia
Se vi dicessi che per rinverdire il pianeta basta fare qualche ricerca su Internet? Straordinario ma vero - Ecosia ha consentito così di piantare, ad oggi, circa 30 milioni di alberi.
Ricercando su Google avrete certamente notato che fra i primi risultati compaiono siti di inserzionisti. Se vi cliccate sopra Google guadagna qualche centesimo. Ecosia è un motore di ricerca alternativo (e altrettanto valido nel restituire risultati) che utilizza quasi il 90% del denaro ricavato dalle inserzioni per piantare alberi in Burkina Faso, Madagascar, Perù, Indonesia, Marocco, Brasile, Nicaragua, Etiopia, Tanzania e altri paesi. Da ogni click su pubblicità ricavano infatti 0,5 centesimi, per una media di circa un albero piantato ogni quarantacinque ricerche. Ma anche utilizzarlo con adblocker attivo e senza cliccare sulle pubblicità contribuisce alla causa: più utenti fanno aumentare l'importanza di questo motore di ricerca agli occhi degli inserzionisti, consentendo maggiore affluenza di pubblicità e quindi più denaro - e quindi più alberi.
Piantando un albero combatti il riscaldamento globale, ripristini i paesaggi, proteggi animali selvatici e contribuisci a fornire nutrimento ed impieghi e dunque stabilità sanitaria ed economica all'uomo.
Troppo bello per essere vero?
Questo motore idi ricerca è stato lanciato nel 2009, e da allora sono stati avanzati diversi dubbi in merito - come si finanziano?, perché queste modalità di guadagno non chiare? Pare inoltre che il suo fondatore avesse precedentemente aperto un progetto simile che aveva avuto un esito piuttosto bislacco, apparentemente per mettere in evidenza attività non proprio "green". Tuttavia Ecosia è stato incluso nelle "B corporation", ovvero è stato certificato dagli Stati Uniti come associazione benefica no-profit. Sono ormai anni che collabora con diverse associazioni anti-deforestazione, come il programma Plant a Billion Trees della Nature Conservancy, il WWF tedesco ecc.
Questo motore idi ricerca è stato lanciato nel 2009, e da allora sono stati avanzati diversi dubbi in merito - come si finanziano?, perché queste modalità di guadagno non chiare? Pare inoltre che il suo fondatore avesse precedentemente aperto un progetto simile che aveva avuto un esito piuttosto bislacco, apparentemente per mettere in evidenza attività non proprio "green". Tuttavia Ecosia è stato incluso nelle "B corporation", ovvero è stato certificato dagli Stati Uniti come associazione benefica no-profit. Sono ormai anni che collabora con diverse associazioni anti-deforestazione, come il programma Plant a Billion Trees della Nature Conservancy, il WWF tedesco ecc.
Come stimato da uno studio dell'Università di Harvard, ogni ricerca su Internet immette nell'atmosfera sette grammi di anidride carbonica. Quindi se già solo l'1% degli utenti di Internet usasse Ecosia, le cui ricerche sono certificate avere impatto zero sull'ambiente, si farebbe la differenza.
Che aspettate? E' disponibile anche per cellulare (info.ecosia.org).
Che aspettate? E' disponibile anche per cellulare (info.ecosia.org).
Se siete interessati a questi motori di ricerca a scopi benefici ve ne presenterò presto altri: Lilo, Goodsearch ed Everyclick.
fonti:
https://blogs.scientificamerican.com/observations/search-the-web-plant-a-treeevery-minute/
https://www.greenme.it/tecno/internet/1632-ecosia-il-primo-motore-di-ricerca-ecologico-tutto-vero
https://ecosia.zendesk.com/hc/en-us/articles/201657341
https://ecosia.zendesk.com/hc/en-us/articles/202323681
https://blogs.scientificamerican.com/observations/search-the-web-plant-a-treeevery-minute/
https://www.greenme.it/tecno/internet/1632-ecosia-il-primo-motore-di-ricerca-ecologico-tutto-vero
https://ecosia.zendesk.com/hc/en-us/articles/201657341
https://ecosia.zendesk.com/hc/en-us/articles/202323681
giovedì 7 giugno 2018
Chi saresti stato in un'epoca passata?
Forse una dama, un re, un plebeo qualsiasi?
Forse un assassino spietato, un aguzzino accecato, un torturato?
Forse avresti pensato l'opposto di quanto pensi oggi, saresti stato oppositore di te stesso?
Forse saresti rimasto senza una gamba in guerra, forse ti saresti ammalato?
Forse non saresti neanche riuscito a nascere, per la mancanza di tecniche oggi banali?
Chi saresti stato?
Forse un assassino spietato, un aguzzino accecato, un torturato?
Forse avresti pensato l'opposto di quanto pensi oggi, saresti stato oppositore di te stesso?
Forse saresti rimasto senza una gamba in guerra, forse ti saresti ammalato?
Forse non saresti neanche riuscito a nascere, per la mancanza di tecniche oggi banali?
Chi saresti stato?
lunedì 4 giugno 2018
Parole che feriscono. L'intervista a Ego
Perché “Volti Profondi”? Perché nelle persone che ci circondano c’è molto più di quello che immaginiamo. Ognuno ha affrontato dei demoni, e questo è il mio modo per tributare questi guerrieri e comunicare a chi ancora vivesse tali terribili esperienze che non è solo. Sprazzi di vite, sentimenti e battaglie.
Ego è molte cose: intelligente, razionale, fantasioso, orgoglioso; ma il primo aggettivo cui pensa per definirsi è “strambo”. Ed effettivamente chiunque l’abbia conosciuto non può non vedere quanto è fuori dal comune, come non mancavano di fargli notare i suoi compagni del liceo.
Ci racconta:
Essendo strambo non ero particolarmente accettato nella classe, non avevo praticamente amici. Non era semplice emarginazione, ma non so neanche se parlare di bullismo. Non lo facevano con cattiveria, lo facevano come scherzo: erano più che altro battute, e non ero l’unico. C’era anche un altro, preso di mira; ci bersagliavamo poi anche a vicenda... quando si facevano le battute su di lui rideva. Anch’io sul momento la prendevo più sul ridere, ma comunque mi facevano soffrire. Non era tanto il fatto che facessero battute su di me, era il motivo: io ero diverso. Io lo ricevevo molto peggio di quello che loro avevano intenzione di fare o di quello che facevano, in più avevo difficoltà a controbattere, per via della mia autostima che in quel periodo era bassissima. Ciò era dovuto anche ad altri problemi tipo che non andavo bene a scuola e non avevo un rapporto ottimale con la mia famiglia. Quindi ero praticamente solo e non accettato.
Quindi i tuoi compagni non sapevano neanche di farti soffrire.
Non così tanto, sì.
Cosa provavi, cosa pensavi?
Mi dicevo: “sono diverso, qual è il problema? Cioè, magari non seguo la moda, non mi importa di fare quello che viene considerato normale... chi se ne frega! Perché deve essere un problema?”. Quindi da un lato mi importava dell’opinione degli altri dato che mi faceva soffrire, ma dall'altro non abbastanza da smettere di fare le cose a modo mio. Adesso, alla fine, sono arrivato a un punto in cui non ci do importanza e basta: faccio le mie cose e me ne frego di quello che la gente pensa. Un altro cambiamento in positivo è che ho imparato a stare bene da solo; ai tempi no, e quindi stavo con loro anche se con loro non mi trovavo così bene. Se succedesse di nuovo una situazione del genere starei tranquillamente da solo.
Come ci sei arrivato?
Sono andato a sopportazione per un bel po’, e poi è stata una cosa molto graduale, non c’è stato un momento in cui mi sono detto: “Ok, da qui cambia tutto”. Ho cambiato scuola, quindi mi son tolto dall’ambiente negativo. Poi anche l’ambiente nuovo non era a maggioranza positivo, ma almeno ho incontrato una persona con cui mi trovavo relativamente bene: parlavamo di cose “da nerd”, quindi nerdeggiavo tranquillamente, e poi niente, mi sono semplicemente messo a riflettere. Pian piano mi sono auto-aumentato l’autostima, mi autocomplimentavo per cambiare la mia prospettiva. Quando vedevo qualche risultato buono mi dicevo: “Sì, sono forte, sono buono, sono fico, sono grande!”, e continuavo a pensare nella mia testa: “Sono grande, sono grande, sono grande” per pian piano portare su la mia autostima.
Ego mi spiega che il cambiare scuola è stato un caso perché con i suoi genitori già da tempo non esisteva alcun dialogo e che da loro riceveva molto poco supporto quando lo necessitava, e al contrario veniva molto criticato quando sbagliava. Una situazione che si protrae nel presente, ma per fortuna Ego ha imparato ad affrontarla, con la stessa risposta con cui ha affrontato le parole dei suoi “amici”: non dando importanza alle parole degli altri e concentrandosi su se stesso.
Con quale idea ti sei focalizzato su te stesso: quella di aiutarti o quella di migliorarti?
Entrambe, perché se miglioravo mi aiutavo. Come ho detto non m’importava così tanto dell’opinione degli altri, non tanto da cambiare. Più che altro volevo sentirmi meglio con me stesso. Era un discorso molto incentrato su di me, mi dicevo: “Così non mi va bene, io voglio migliorare, voglio essere me stesso per poter vivere meglio. Perché non mi piace la situazione in cui sono e quindi voglio cambiarla”. Probabilmente era solo voler far smettere che quelle parole mi facessero male, indipendentemente se fosse giusto che lo dicessero o no. Ovviamente poi dal punto di vista egoistico pensavo fossero sbagliate, però mi trovavo comunque a pensare: “sì, ma magari dal loro punto di vista no”. Però pian piano mi sono abituato e ho fortificato il mio carattere in generale e la parte di me che se ne frega dell’opinione degli altri - il che è una cosa molto buona -; ho imparato a stare da solo, per conto mio, senza che fosse un peso - un’altra cosa molto positiva -; e quindi questi tre anni alla fine mi hanno fortificato.
Quindi hai fatto tutto da solo.
Sì, quello è sicuro. Infatti tendenzialmente faccio molto quasi da solo perché sono abituato a fare da solo, ed è anche appunto in quei tre anni che sono stato molto per i fatti miei, a fare cose per conto mio. Mi sono concentrato molto sulla mia personalità e sulla mia individualità: facevo molta analisi di me stesso, del perché mi comportavo in quel modo, perché non facevo in un altro modo; quindi quasi sempre so perché faccio una cosa, quali sono i miei processi mentali. So analizzare tanto me stesso e anche quello che c’è intorno a me: anche questo mi ha aiutato parecchio a capire cosa volevo cambiare e come farlo.
Ogni tanto ci torni con amarezza, o vai in crisi, a causa di questa vicenda?
E’ stato un periodo non troppo felice, però ripensarci non mi manda in crisi. Mi sarebbe solo piaciuto comportarmi in maniera diversa. Comunque non ho molti dubbi, perché tutte queste cose mi hanno portato ad adesso, e adesso non ho grandi problemi con me stesso. Ne ho altri, ne ho sempre - penso che ce li abbiano tutti - però non c’entrano con loro, quelli li ho superati.
Quale consiglio daresti a coloro che devono affrontare questa esperienza?
Innanzitutto: senso dell’umorismo. Imparare a ridere di se stessi è buono. So che sembra una cosa stupida ma fa bene. Ovviamente entro certi limiti, non deve diventare un ridere per non piangere.
Poi: siate voi stessi. Se dovete cambiare dovete cambiare perché volete essere migliori, dovete cambiare per voi stessi. Se cambiate per piacere agli altri, agli altri non piacerete mai: piacerà l’idea che hanno di voi. Avrete l’illusione di piacere agli altri, ma non sarà così; quindi comportatevi come siete, e quando troverete qualcuno a cui piacete saprete di piacere loro sul serio. Inoltre così non avrete l’ansia di piacere agli altri e di dover fingere continuamente di non essere voi stessi. Cambiare per volontà propria, non per obbligo imposto da altri.
In ogni caso, usare la ragione va sempre bene, quello come pilastro fondamentale della vostra vita. Voi magari pensate, che ne so, che il socialismo sia una cosa buona, uno vi dà dei motivi per cui il socialismo è sbagliato; e voi ragionate su quello che vi hanno detto e se sono motivi razionali, giusti, oggettivi cambiate opinione. Talvolta se è giusto non è necessario cambiare, potete unire ciò che pensavate prima e ciò che vi hanno detto gli altri per migliorare le vostre idee e voi stessi. Io dato che sono un essere razionale cambio, poi voi magari preferite rimanere così e cazzi vostri. Ovviamente voi dovete piacere a voi stessi, non a me, quindi magari a me non piace che voi non cambiate, ma voi ve ne fottete lo stesso.
Sulla scia di questo enorme sprone a cambiare, gli domando cosa voglia cambiare lui della propria vita. Principalmente, mi risponde, vorrebbe iniziare a seguire le sue aspirazioni con più costanza, abbandonando quell’apatia che lo coglie quando decide di intraprendere vere azioni. Però, un po' alla volta, ci sta già lavorando, sempre nel modo estremamente razionale, ma anche estremamente sensibile, che lo contraddistingue.
Ego è molte cose: intelligente, razionale, fantasioso, orgoglioso; ma il primo aggettivo cui pensa per definirsi è “strambo”. Ed effettivamente chiunque l’abbia conosciuto non può non vedere quanto è fuori dal comune, come non mancavano di fargli notare i suoi compagni del liceo.
Ci racconta:
Essendo strambo non ero particolarmente accettato nella classe, non avevo praticamente amici. Non era semplice emarginazione, ma non so neanche se parlare di bullismo. Non lo facevano con cattiveria, lo facevano come scherzo: erano più che altro battute, e non ero l’unico. C’era anche un altro, preso di mira; ci bersagliavamo poi anche a vicenda... quando si facevano le battute su di lui rideva. Anch’io sul momento la prendevo più sul ridere, ma comunque mi facevano soffrire. Non era tanto il fatto che facessero battute su di me, era il motivo: io ero diverso. Io lo ricevevo molto peggio di quello che loro avevano intenzione di fare o di quello che facevano, in più avevo difficoltà a controbattere, per via della mia autostima che in quel periodo era bassissima. Ciò era dovuto anche ad altri problemi tipo che non andavo bene a scuola e non avevo un rapporto ottimale con la mia famiglia. Quindi ero praticamente solo e non accettato.
Quindi i tuoi compagni non sapevano neanche di farti soffrire.
Non così tanto, sì.
Cosa provavi, cosa pensavi?
Mi dicevo: “sono diverso, qual è il problema? Cioè, magari non seguo la moda, non mi importa di fare quello che viene considerato normale... chi se ne frega! Perché deve essere un problema?”. Quindi da un lato mi importava dell’opinione degli altri dato che mi faceva soffrire, ma dall'altro non abbastanza da smettere di fare le cose a modo mio. Adesso, alla fine, sono arrivato a un punto in cui non ci do importanza e basta: faccio le mie cose e me ne frego di quello che la gente pensa. Un altro cambiamento in positivo è che ho imparato a stare bene da solo; ai tempi no, e quindi stavo con loro anche se con loro non mi trovavo così bene. Se succedesse di nuovo una situazione del genere starei tranquillamente da solo.
Come ci sei arrivato?
Sono andato a sopportazione per un bel po’, e poi è stata una cosa molto graduale, non c’è stato un momento in cui mi sono detto: “Ok, da qui cambia tutto”. Ho cambiato scuola, quindi mi son tolto dall’ambiente negativo. Poi anche l’ambiente nuovo non era a maggioranza positivo, ma almeno ho incontrato una persona con cui mi trovavo relativamente bene: parlavamo di cose “da nerd”, quindi nerdeggiavo tranquillamente, e poi niente, mi sono semplicemente messo a riflettere. Pian piano mi sono auto-aumentato l’autostima, mi autocomplimentavo per cambiare la mia prospettiva. Quando vedevo qualche risultato buono mi dicevo: “Sì, sono forte, sono buono, sono fico, sono grande!”, e continuavo a pensare nella mia testa: “Sono grande, sono grande, sono grande” per pian piano portare su la mia autostima.
Ego mi spiega che il cambiare scuola è stato un caso perché con i suoi genitori già da tempo non esisteva alcun dialogo e che da loro riceveva molto poco supporto quando lo necessitava, e al contrario veniva molto criticato quando sbagliava. Una situazione che si protrae nel presente, ma per fortuna Ego ha imparato ad affrontarla, con la stessa risposta con cui ha affrontato le parole dei suoi “amici”: non dando importanza alle parole degli altri e concentrandosi su se stesso.
Con quale idea ti sei focalizzato su te stesso: quella di aiutarti o quella di migliorarti?
Entrambe, perché se miglioravo mi aiutavo. Come ho detto non m’importava così tanto dell’opinione degli altri, non tanto da cambiare. Più che altro volevo sentirmi meglio con me stesso. Era un discorso molto incentrato su di me, mi dicevo: “Così non mi va bene, io voglio migliorare, voglio essere me stesso per poter vivere meglio. Perché non mi piace la situazione in cui sono e quindi voglio cambiarla”. Probabilmente era solo voler far smettere che quelle parole mi facessero male, indipendentemente se fosse giusto che lo dicessero o no. Ovviamente poi dal punto di vista egoistico pensavo fossero sbagliate, però mi trovavo comunque a pensare: “sì, ma magari dal loro punto di vista no”. Però pian piano mi sono abituato e ho fortificato il mio carattere in generale e la parte di me che se ne frega dell’opinione degli altri - il che è una cosa molto buona -; ho imparato a stare da solo, per conto mio, senza che fosse un peso - un’altra cosa molto positiva -; e quindi questi tre anni alla fine mi hanno fortificato.
Quindi hai fatto tutto da solo.
Sì, quello è sicuro. Infatti tendenzialmente faccio molto quasi da solo perché sono abituato a fare da solo, ed è anche appunto in quei tre anni che sono stato molto per i fatti miei, a fare cose per conto mio. Mi sono concentrato molto sulla mia personalità e sulla mia individualità: facevo molta analisi di me stesso, del perché mi comportavo in quel modo, perché non facevo in un altro modo; quindi quasi sempre so perché faccio una cosa, quali sono i miei processi mentali. So analizzare tanto me stesso e anche quello che c’è intorno a me: anche questo mi ha aiutato parecchio a capire cosa volevo cambiare e come farlo.
Ogni tanto ci torni con amarezza, o vai in crisi, a causa di questa vicenda?
E’ stato un periodo non troppo felice, però ripensarci non mi manda in crisi. Mi sarebbe solo piaciuto comportarmi in maniera diversa. Comunque non ho molti dubbi, perché tutte queste cose mi hanno portato ad adesso, e adesso non ho grandi problemi con me stesso. Ne ho altri, ne ho sempre - penso che ce li abbiano tutti - però non c’entrano con loro, quelli li ho superati.
Quale consiglio daresti a coloro che devono affrontare questa esperienza?
Innanzitutto: senso dell’umorismo. Imparare a ridere di se stessi è buono. So che sembra una cosa stupida ma fa bene. Ovviamente entro certi limiti, non deve diventare un ridere per non piangere.
Poi: siate voi stessi. Se dovete cambiare dovete cambiare perché volete essere migliori, dovete cambiare per voi stessi. Se cambiate per piacere agli altri, agli altri non piacerete mai: piacerà l’idea che hanno di voi. Avrete l’illusione di piacere agli altri, ma non sarà così; quindi comportatevi come siete, e quando troverete qualcuno a cui piacete saprete di piacere loro sul serio. Inoltre così non avrete l’ansia di piacere agli altri e di dover fingere continuamente di non essere voi stessi. Cambiare per volontà propria, non per obbligo imposto da altri.
In ogni caso, usare la ragione va sempre bene, quello come pilastro fondamentale della vostra vita. Voi magari pensate, che ne so, che il socialismo sia una cosa buona, uno vi dà dei motivi per cui il socialismo è sbagliato; e voi ragionate su quello che vi hanno detto e se sono motivi razionali, giusti, oggettivi cambiate opinione. Talvolta se è giusto non è necessario cambiare, potete unire ciò che pensavate prima e ciò che vi hanno detto gli altri per migliorare le vostre idee e voi stessi. Io dato che sono un essere razionale cambio, poi voi magari preferite rimanere così e cazzi vostri. Ovviamente voi dovete piacere a voi stessi, non a me, quindi magari a me non piace che voi non cambiate, ma voi ve ne fottete lo stesso.
Sulla scia di questo enorme sprone a cambiare, gli domando cosa voglia cambiare lui della propria vita. Principalmente, mi risponde, vorrebbe iniziare a seguire le sue aspirazioni con più costanza, abbandonando quell’apatia che lo coglie quando decide di intraprendere vere azioni. Però, un po' alla volta, ci sta già lavorando, sempre nel modo estremamente razionale, ma anche estremamente sensibile, che lo contraddistingue.