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giovedì 4 ottobre 2018

La morte del padre. L'intervista a MrMatyson.

Il ragazzo dell’intervista di Volti Profondi questo mese ha molto senso dell’umorismo. Ma prima di tutto si tratta di una persona molto disponibile e sensibile ai bisogni degli altri, tanto da ritrovarsi spesso delusa dalle persone di cui decide di fidarsi. Non a caso molte sono le parole amare che pronuncia nel descrivere la propria vita e il proprio sogno “molto scarno”: l’essere felice. Eppure MrMatyson è sempre gentile e affronta con coraggio ogni sfida che gli si para dinnanzi. Qui ci racconta la più grande di queste sfide: la morte del padre.

Scrive:
[Mio padre era] una persona generosa, lavoratrice e con sane abitudini la quale si è trovata un cancro all'improvviso.
A dire il vero l’ho vissuto come un evento un po' dissociato. Erano i primi momenti in cui avevo una compagnia e stavo sperimentando le prime attrazioni.  Era, come dire, non sempre il soggetto del quadro ma ne era sempre la cornice.

Poche parole, ma ricche di significato. MrMatyson aveva sedici anni: un’età delicata, in cui molto dovrebbe iniziare, mentre lui nel giro di poco tempo si è ritrovato a sostenere questo grande peso e sua mamma, sia emotivamente che badando ai fratelli minori. 

Come l'hai affrontato?
Confidandomi con le persone. Non erano troppe e con il senno di poi ho anche cannato la selezione delle persone a cui affidare l'informazione (non gli interessava molto ed essendo giovani non avevano consigli da dare), ma ne avevo bisogno. Ho avuto una sorta di fortuna perché è accaduto in contemporanea o quasi con il mio approdo su Internet... quindi c'erano molte cose nuove su cui riversare il mio interesse.

Quanto ci hai messo per superarlo?
Credo di averlo superato già nel corso della malattia. Una morte per cancro è diversa da una improvvisa.

Che consiglio daresti a coloro cui dovesse capitare lo stesso?
Il mio consiglio è di ricercare assolutamente sfoghi e distrazioni facendo comunque capire alla persona malata che siamo accanto a lei. Se vi viene da piangere, cazzo, fatelo! Il corpo e la mente hanno bisogno di queste reazioni per affrontare meglio il tutto, non solo gli eventi gravosi, ma anche un periodo o un motivo che non si conosce.

MrMatyson è un ragazzo di poche parole, che però potrebbero essere di aiuto a coloro che dovessero affrontare la stessa situazione. D’altronde cos’altro si potrebbe dire? Di fronte ad una disgrazia del genere non si può che cercare di sdrammatizzare e guardare avanti. Lui c’è riuscito, evidentemente contando soprattutto sulle proprie forze. Gli auguro di realizzare il suo sogno, che peraltro spera, con buon cuore, di raggiungere impegnandosi.





martedì 4 settembre 2018

Panico notturno. L'intervista a Claudia

Non sai quante cose si possono nascondere dietro un sorriso.” - Demi Lovato.

Claudia ha 26 anni e frequenta l'università. Semplicemente, sogna di laurearsi. E' una persona aperta e profonda, e così, sebbene sia anche molto introversa e riservata, non esita a raccontarmi – e a raccontarvi – la sua delicata storia, nella speranza di raggiungere qualcuno che possa esserne confortato.

Qual è stato il più grande problema che hai affrontato?
Attualmente il mio problema più urgente erano le crisi di panico notturne che avevo, degenerate in lunghe conversazioni notturne con mia madre, la claustrofobia e vari cambi di terapia farmacologica.
E' iniziato nel maggio del 2017. Mi svegliavo nel cuore della notte con la sensazione di tremare e di stare per avere le convulsioni, avevo caldo e non riuscivo a ragionare lucidamente; questo è successo per tre notti durante le quali mi svegliavo e andavo a chiamare mia madre. Durante il giorno ero spossata e apatica, sfibrata e terrorizzata da ogni minima cosa che sentissi dal mio corpo perciò avevo bisogno di rassicurazione costante.
Non si sa se ci sia una causa fisica [del panico notturno], ma reprimevo inconsciamente tantissime cose di cui mi rendo conto solo ora, traumi psicologici.

Come l'hai affrontato?
A seguito di questo sono andata dal mio medico di famiglia che mi ha prescritto la prima terapia che però mi lasciava troppo stanca e modificava troppo radicalmente il mio carattere oltre a darmi tremori. Poi l'ho interrotta a seguito di un ennesimo attacco di panico, e sono passata a una terapia molto più leggera in gocce con due farmaci combinati, che sto seguendo tuttora e ogni tot di tempo si rivedono i dosaggi.
Le gocce mi han davvero aiutato a ricordare che prima di tutto questo ero stata una persona diversa in tante cose negative, ma anche positive e non ero preda di queste paure e attacchi di ansia e disgusto per il mio corpo, uno dei quali mi aveva portato a tanto così da una crisi isterica sotto ciclo. Mia madre mi ha ribadito che però non dovevo diventare dipendente dalle gocce. Non lo sono, ma le conseguenze sono state tante: mi preoccupo di selezionare dei luoghi in cui vado quelli con più spazi aperti, quelli con più aria fresca e sempre comunque per cose non troppo lunghe.
Va affrontato quotidianamente, i farmaci aiutano ma la parte fondamentale per non esserne dipendenti è il supporto di chi ti sta vicino e la tua testa, la tua volontà di tornare a gestire la tua vita. Con questo non intendo dire che chi è ancora in fase, passatemi il termine, acuta, del problema non ha voglia di guarire, tutt’altro! Ma per avere tutte le possibilità di non essere connessi ai farmaci come ancora di salvezza perenne e saper riconoscere i sintomi fisici di un attacco di panico o di claustrofobia, bisogna sapersi ascoltare e richiede un lavoro lunghissimo che può iniziare a terapia farmacologica inoltrata, quando sei più sereno, quando hai più controllo su tutto il resto, quando entri nella fase del “ma che fine ha fatto la persona che sono, che ero prima? Voglio tornare quella che ero, a non aver paura di niente, cazzo. È ora di ricominciare”.




Ora come stai?
Adesso sto bene, ma non sarò guarita del tutto fino a quando non avrò smesso di prendere definitivamente le gocce, obiettivo per me essenziale. Sto lavorando come una pazza per farmi abbassare di un altro punto il dosaggio dal medico (l'ho abbassato di due punti in dieci mesi) e voglio che scenda ancora. 
Son cresciuta e cambiata tanto. Dopo tanti anni ho imparato ad accettare il mio corpo e volergli bene tanto da prendermene cura. Guidare è stata una cosa che mi son conquistata a fatica, metro per metro quasi letteralmente perché per me era una grossa fonte di stress.

Alcune attività che Claudia trova rilassanti e tranquillizzanti sono guardare video con voci rilassanti su youtube e dar sfogo alla propria creatività attraverso giochi di ruolo e l’uso di Photoshop (trovate qui la sua pagina - facebook - di grafica).





Che consiglio daresti a coloro che devono affrontare il tuo stesso problema?
Parlare, parlare con chi vi sta vicino, non avere paura di chiedere aiuto anche in situazioni pubbliche, affidarsi a un bravo medico che in caso vi possa prescrivere anche giusti farmaci e una terapia psicologica da un professionista del settore! Ma in generale non avere paura di chiedere aiuto per se stessi, di esprimere il proprio malessere quando sovviene e di raccontare ad altri di aver bisogno magari di una attenzione in più, di un istante di pazienza in più.

Ogni giorno è un giorno Claudia, alzati alla mattina e ripetilo:
anche se poi è una giornata di merda, niente può toglierti che sarà tua
e sei tu importante più di tutto.
- la mamma di Claudia.

Spero che la testimonianza di Claudia possa aver aiutato, quantomeno con un po' di conforto, qualche lettore – questo è l'obiettivo di questa serie di interviste. Le trovate tutte a questo link.



sabato 4 agosto 2018

Molestie durante l'infanzia. L'intervista a Rainbow


"Volti Profondi": per ascoltare, capire, conoscere. E magari aiutare qualcuno che possa essersi trovato nella medesima situazione.
Questo mese trattiamo un tema molto complesso. Ce lo presenta Rainbow, una ragazza che ama la vita e fa molto affinché anche gli altri la amino: per questo, spesso, offre il suo conforto a persone che neanche conosce, attraverso i canali più disparati (soprattutto via social). Si definisce come timida, ingenua, taciturna e sensibile - non a caso racconta la sua intricata storia con molta difficoltà.

Qual è stato il più grande problema che hai affrontato?
Quando ero una bambina mi è capitato più volte di essere molestata sessualmente. Si trattava di un mio parente, per cui ci capitava di ritrovarci in vacanza insieme.
All'inizio non capivo, ero soltanto... curiosa. Non mi sembrava nulla di eclatante, per me era soltanto "esplorazione"... Allo stesso tempo, però, sentivo che c'era qualcosa di sbagliato, sentivo di star commettendo un grosso errore. E il fatto che questa persona mi chiedesse di mantenere il segreto mi insospettiva. Ma per il senso di colpa e la vergogna da una parte e dall'altra il dubbio che potesse invece essere una cosa normale e innocente, non sono riuscita a raccontarlo a nessuno per molti anni.

Quanto ha inciso questa esperienza su di te?
Nel rapporto con l'altro sesso, molto. Sentivo che c'era qualcosa di sbagliato, in me, e che il mio corpo potesse essere una sorta di "moneta di scambio" - ad esempio pensavo che se non mi fossi concessa al mio primo ragazzo questo mi avrebbe lasciata. Ma allo stesso tempo avevo un blocco. Non sono riuscita a lasciarmi andare per molti anni.
In particolare ho vissuto un periodo orribile, in cui mi sentivo sporca e nessuna doccia mi lavava abbastanza e avevo il bisogno di pulire il mio letto ogni sera, prima di coricarmi. Ero irrazionalmente terrorizzata che potesse accadermi qualcosa di peggio.
Non oso immaginare - e ci ho pensato spesso - cosa possa aver provato e provare chi ha subito veri e propri stupri.

Come hai fatto a superare tutto questo?
Innanzitutto, questa persona è uscita dalla mia vita (per altri motivi): così mi è stato possibile concentrarmi su cosa provassi. Gli episodi di "manie di pulizia" sono finiti, e io sono tornata quasi alla normalità, se non per il fatto che non riuscivo a vivere appieno la mia sessualità con il mio ragazzo.
Poi, finalmente ho iniziato a parlarne. Mi sono aperta con il mio ragazzo e con i miei migliori amici: persone splendide, mi hanno confortata e mi sono state molto vicine, dicendo e chiedendo tutte le cose giuste. Mi hanno fatta sentire pulita, forte e umana.
Ho poi iniziato ad andare dallo psicologo. In realtà per altri motivi, però l'argomento è saltato fuori - non potevo non parlare anche di questo. E lui è stato fondamentale nel farmi capire che quelle cose non potevano essere fraintendibili, che era una situazione anormale e che tutto poteva collocarsi in specifici "quadrati", facendomi razionalizzare il tutto. Mi ha fatta anche lavorare su me stessa, facendomi acquisire molta autostima (di cui prima ero assai carente, cosa problematica in una situazione del genere).
Sono arrivata a capire, grazie a fidanzato e psicologo, che le azioni di questa persona erano dovute alla frustrazione della solitudine, piuttosto che a desiderio di ferire o perversione. Così ho deciso di parlare dell'accaduto anche ai miei genitori, perché credevo avrebbero potuto aiutarlo... oltre al fatto che avrebbero potuto capire certe cose che avevo fatto o detto nei suoi confronti. Avevo anche bisogno che sapessero l'accaduto, anche se non so spiegarne il motivo.
Dopo tante occasioni in cui non ero riuscita a parlarne, finalmente "confessai". Fu straziante, diversamente da quando ne avevo parlato a migliori amici e fidanzato. Ma si rifiutarono di accettare l'accaduto, insinuando che avessi interpretato male la vicenda e dissero che non vedevano il motivo per indagare sul "movente" della persona, decretando che sicuramente sarebbe stata meglio dimenticandosene. Mi dissero che l'unica cosa che potevano fare al riguardo era mandarmi da uno psicologo, e la cosa finì lì. (Curiosamente, avevo appena smesso di andarci, perché mi aveva già dato tutti gli strumenti per superare la cosa.) Non gliene parlarono, non ne parlammo neppure più insieme, come se nulla fosse.
Quel giorno capii molte cose di me, ma soprattutto sui miei, e fui molto felice di non averne parlato prima a loro.

Ti sei pentita di averglielo detto?
No. Mi sarei chiesta cosa sarebbe successo dicendoglielo. E poi l'ho fatto per me e per quella persona, quindi credo di aver fatto la cosa giusta. Senza contare che quel giorno ho capito di poter fare affidamento soprattutto su me stessa, prima che sui miei genitori. Ho capito di essere cresciuta, per quanti difetti potessi avere e per quanti errori potessi aver commesso.

Come ti senti ora?
Ora sto bene, sia in generale sia in ambito intimo. Nel pensarci, per qualche tempo, mi sentivo ancora sporca, mentre ora sono tranquilla, sono in equilibrio. Anche se parlarne mi rende molto nervosa, perché si tratta di un argomento molto privato.

Che consiglio daresti a coloro che lo devono affrontare?
Parlarne con uno psicologo. Chiunque altro (che non l'abbia vissuto - e talvolta neanche) potrebbe non capire, e sentirsi dire certe cose quando non si è ancora iniziato un percorso di cura può fare la differenza in situazioni come questa, dove le persone coinvolte sono tanto fragili. Mi rendo conto che se avessi sentito le parole dei miei genitori quando ero più piccola e non cosciente della situazione oggi forse non avrei affrontato questo demone, sarebbe ancora dentro di me a distruggermi. Ma parlarne è fondamentale, quindi se conoscete qualcuno che potrebbe capirvi (mantenendo il vostro segreto, chiaramente) consiglio di aprirsi, senza pensare di poter essere giudicati. C'è sempre qualcuno disposto ad aiutare senza alcun secondo fine, l'importante sta nel trovarlo.
A chi è capitato vorrei dire che non devono sentirsi in colpa, perché non è successo a causa loro. Assolutamente. Purtroppo è una cosa che può succedere, a chiunque, e averlo subìto non deve togliere nulla alla persona: ha già tolto abbastanza alla serenità. E devono sapere che dopo di questo può esistere una vita normale, senza incubi notturni e problemi a relazionarsi. Non devono avere paura del futuro, perché esiste e sarà migliore.

Cosa immagini del tuo futuro?
Spero di avere una casa mia al più presto, con il ragazzo che amo. Sono stata fortunata ad avere lui, che mi ha sostenuta in ogni situazione pur senza nascondermi dove sbagliavo. Invece non sostengo più di vivere con i miei (naturalmente non è stata l'unica incomprensione, anche se ha cambiato completamente il modo in cui mi rapporto con loro). Desidero una vita normale, con un lavoro qualsiasi, basta che sia tranquillo, una casa intima, magari in campagna.
Se avrò figli, mi impegnerò al massimo affinché possano contare su di me in qualunque situazione. Voglio essere la madre migliore del mondo, lotterò con i denti e con i corsi per poterlo essere. Non potrò evitare che venga fatto loro del male, ma potrò essere al loro fianco quando avranno bisogno di rialzarsi.

Una storia straziante con un lieto fine.

Rainbow ci lascia con il suo motto:
"La vita è un'enorme tela: 
rovescia su di essa tutti i colori che puoi."
- Danny Kaye


mercoledì 4 luglio 2018

Un familiare in crisi. L'intervista a Robby

Volti Profondi è una serie di interviste che si prefigge di mostrare una piccola parte delle vite di ragazzi qualunque – ragazzi coraggiosi – che hanno affrontato vicende difficili. Un modo per farli sfogare, per conoscerli, per aiutare chi potrebbe trovarsi nella stessa situazione, perché vogliono essere una dimostrazione che non si è gli unici con quel problema e che se ne può uscire.
Il ragazzo dell'intervista di questo mese, Robby, è molto impegnato, generoso e affidabile; si descrive semplicemente come una persona tranquilla. Mi racconta un po' la sua vita, in cui una serie di esperienze personali lo ha condotto ad essere un po' più duro di prima. Ma, di tutti questi eventi, è uno che non lo riguarda direttamente ad aver inciso su di lui con maggiore forza: quando sua madre, convinta – a torto – di aver fatto del male a delle persone, aveva avuto un crollo nervoso. Sicuramente questo fatto ha colpito duramente Robby anche perché sono molto legati: egli stesso definisce il loro rapporto come piuttosto bello, basato sulla confidenza.

Ci racconta:
Era difficile perché non le interessava più nulla: era apatica, sorrideva soltanto per finta per rassicurare le persone intorno a lei, a volte aveva crisi di pianto improvvise… Talvolta pensarci mi teneva sveglio la notte. C'era anche gente che non era d'aiuto, né a lei, né a me di conseguenza: non la trattavano bene, quasi la prendevano in giro. E quindi è stato un periodo difficile fino a che non è andata dallo psichiatra e ha preso gli psicofarmaci.

E tu invece come hai affrontato questa esperienza?
Inizialmente non realizzai l'accaduto e non seppi come affrontare la faccenda. “Passerà”, pensai. Ma non fu così, quindi dovetti riflettere per escogitare un modo per risolvere il problema. Capii che era necessario farsi forza, un crollo nervoso mio sarebbe solo servito a peggiorare ulteriormente la situazione. Decisi di mettere da parte le emozioni e di mostrarmi freddo nelle decisioni, ma premuroso per darle dei consigli che potessero farle capire che in realtà era innocente.

Quindi ti sei tranquillizzato nel momento in cui lei è andata dallo psichiatra?
Subito no, perché bisognava vedere come reagivano le medicine, quindi gli effetti collaterali, e se le prendeva. Una volta ne prese una abbastanza potente, ed per tutta la sera rimase in una specie di stato comatoso.

Quindi non sei più preoccupato per lei, o sì?
Per questa questione fondamentalmente no, perché oramai siamo arrivati ad un punto in cui non dovrebbe esserci più quello che ha scatenato tutto: quelli che erano contro di lei le hanno dimostrato chiaramente che sono loro in torto, usando contro di lei ed altri insulti, nomacci, insinuazioni, razzismo… si sono un po' dati la zappa sui piedi, [così] mia madre adesso almeno non si sente più colpevole.

Che consiglio daresti a coloro che dovessero affrontare la situazione che hai vissuto tu?
Secondo me se si ha a che fare con una persona ad esempio depressa bisogna capirla però non assecondarla, e cercare di non perder le staffe e farsi forza. Dirsi: “Se lei cede io non devo cedere”. 
Sicuramente c'è qualche metodo ancora più efficace, ma secondo me ci sono molti più metodi per i quali uno agirebbe in modo sbagliato.
Consiglio in ogni caso di appoggiarsi ad uno specialista.

Robby lancia però anche un altro messaggio: quello di non preoccuparsi troppo di quanto pensano gli altri (un po' sulle note dell'intervista a Ego), soprattutto quando sono persone che non dovrebbero in alcun modo influenzare la nostra vita.
Quella qui raccontata è una situazione piuttosto difficile, in cui molti potranno essersi riconosciuti – genitori, figli, fratelli, amici – e che potrebbero anche aver semplicemente sfiorato senza rendersene conto. I crolli nervosi, la depressione, l'ansia non sono semplici stati d'animo, ma malattie, che perdipiù colpiscono indirettamente anche le persone che circondano coloro che ne sono stati colpiti, riempiendo le loro vite di incubi. Spesso sono periodi molto lunghi, in cui i familiari non possono che stare accanto al malato nella speranza che questo stia meglio (obiettivo generalmente raggiungibile soltanto grazie all'intervento di uno psichiatra o psicologo).
Spero che questa breve intervista possa essere stata d'aiuto a qualcuno, e voglio concludere, a mo' di esempio, elencando le piccole attività che in questo periodo tranquillizzavano Robby: videogiochi, manga e soprattutto passeggiate.




lunedì 4 giugno 2018

Parole che feriscono. L'intervista a Ego

Perché “Volti Profondi”? Perché nelle persone che ci circondano c’è molto più di quello che immaginiamo. Ognuno ha affrontato dei demoni, e questo è il mio modo per tributare questi guerrieri e comunicare a chi ancora vivesse tali terribili esperienze che non è solo. Sprazzi di vite, sentimenti e battaglie.

Ego è molte cose: intelligente, razionale, fantasioso, orgoglioso; ma il primo aggettivo cui pensa per definirsi è “strambo”. Ed effettivamente chiunque l’abbia conosciuto non può non vedere quanto è fuori dal comune, come non mancavano di fargli notare i suoi compagni del liceo.

Ci racconta:
Essendo strambo non ero particolarmente accettato nella classe, non avevo praticamente amici. Non era semplice emarginazione, ma non so neanche se parlare di bullismo. Non lo facevano con cattiveria, lo facevano come scherzo: erano più che altro battute, e non ero l’unico. C’era anche un altro, preso di mira; ci bersagliavamo poi anche a vicenda... quando si facevano le battute su di lui rideva. Anch’io sul momento la prendevo più sul ridere, ma comunque mi facevano soffrire. Non era tanto il fatto che facessero battute su di me, era il motivo: io ero diverso. Io lo ricevevo molto peggio di quello che loro avevano intenzione di fare o di quello che facevano, in più avevo difficoltà a controbattere, per via della mia autostima che in quel periodo era bassissima. Ciò era dovuto anche ad altri problemi tipo che non andavo bene a scuola e non avevo un rapporto ottimale con la mia famiglia. Quindi ero praticamente solo e non accettato.

Quindi i tuoi compagni non sapevano neanche di farti soffrire.
Non così tanto, sì.

Cosa provavi, cosa pensavi?
Mi dicevo: “sono diverso, qual è il problema? Cioè, magari non seguo la moda, non mi importa di fare quello che viene considerato normale... chi se ne frega! Perché deve essere un problema?”. Quindi da un lato mi importava dell’opinione degli altri dato che mi faceva soffrire, ma dall'altro non abbastanza da smettere di fare le cose a modo mio. Adesso, alla fine, sono arrivato a un punto in cui non ci do importanza e basta: faccio le mie cose e me ne frego di quello che la gente pensa. Un altro cambiamento in positivo è che ho imparato a stare bene da solo; ai tempi no, e quindi stavo con loro anche se con loro non mi trovavo così bene. Se succedesse di nuovo una situazione del genere starei tranquillamente da solo.

Come ci sei arrivato?
Sono andato a sopportazione per un bel po’, e poi è stata una cosa molto graduale, non c’è stato un momento in cui mi sono detto: “Ok, da qui cambia tutto”. Ho cambiato scuola, quindi mi son tolto dall’ambiente negativo. Poi anche l’ambiente nuovo non era a maggioranza positivo, ma almeno ho incontrato una persona con cui mi trovavo relativamente bene: parlavamo di cose “da nerd”, quindi nerdeggiavo tranquillamente, e poi niente, mi sono semplicemente messo a riflettere. Pian piano mi sono auto-aumentato l’autostima, mi autocomplimentavo per cambiare la mia prospettiva. Quando vedevo qualche risultato buono mi dicevo: “Sì, sono forte, sono buono, sono fico, sono grande!”, e continuavo a pensare nella mia testa: “Sono grande, sono grande, sono grande” per pian piano portare su la mia autostima.


Ego mi spiega che il cambiare scuola è stato un caso perché con i suoi genitori già da tempo non esisteva alcun dialogo e che da loro riceveva molto poco supporto quando lo necessitava, e al contrario veniva molto criticato quando sbagliava. Una situazione che si protrae nel presente, ma per fortuna Ego ha imparato ad affrontarla, con la stessa risposta con cui ha affrontato le parole dei suoi “amici”: non dando importanza alle parole degli altri e concentrandosi su se stesso.


Con quale idea ti sei focalizzato su te stesso: quella di aiutarti o quella di migliorarti?
Entrambe, perché se miglioravo mi aiutavo. Come ho detto non m’importava così tanto dell’opinione degli altri, non tanto da cambiare. Più che altro volevo sentirmi meglio con me stesso. Era un discorso molto incentrato su di me, mi dicevo: “Così non mi va bene, io voglio migliorare, voglio essere me stesso per poter vivere meglio. Perché non mi piace la situazione in cui sono e quindi voglio cambiarla”. Probabilmente era solo voler far smettere che quelle parole mi facessero male, indipendentemente se fosse giusto che lo dicessero o no. Ovviamente poi dal punto di vista egoistico pensavo fossero sbagliate, però mi trovavo comunque a pensare: “sì, ma magari dal loro punto di vista no”. Però pian piano mi sono abituato e ho fortificato il mio carattere in generale e la parte di me che se ne frega dell’opinione degli altri - il che è una cosa molto buona -; ho imparato a stare da solo, per conto mio, senza che fosse un peso - un’altra cosa molto positiva -; e quindi questi tre anni alla fine mi hanno fortificato.

Quindi hai fatto tutto da solo.
Sì, quello è sicuro. Infatti tendenzialmente faccio molto quasi da solo perché sono abituato a fare da solo, ed è anche appunto in quei tre anni che sono stato molto per i fatti miei, a fare cose per conto mio. Mi sono concentrato molto sulla mia personalità e sulla mia individualità: facevo molta analisi di me stesso, del perché mi comportavo in quel modo, perché non facevo in un altro modo; quindi quasi sempre so perché faccio una cosa, quali sono i miei processi mentali. So analizzare tanto me stesso e anche quello che c’è intorno a me: anche questo mi ha aiutato parecchio a capire cosa volevo cambiare e come farlo.

Ogni tanto ci torni con amarezza, o vai in crisi, a causa di questa vicenda?
E’ stato un periodo non troppo felice, però ripensarci non mi manda in crisi. Mi sarebbe solo piaciuto comportarmi in maniera diversa. Comunque non ho molti dubbi, perché tutte queste cose mi hanno portato ad adesso, e adesso non ho grandi problemi con me stesso. Ne ho altri, ne ho sempre - penso che ce li abbiano tutti - però non c’entrano con loro, quelli li ho superati.

Quale consiglio daresti a coloro che devono affrontare questa esperienza?
Innanzitutto: senso dell’umorismo. Imparare a ridere di se stessi è buono. So che sembra una cosa stupida ma fa bene. Ovviamente entro certi limiti, non deve diventare un ridere per non piangere.
Poi: siate voi stessi. Se dovete cambiare dovete cambiare perché volete essere migliori, dovete cambiare per voi stessi. Se cambiate per piacere agli altri, agli altri non piacerete mai: piacerà l’idea che hanno di voi. Avrete l’illusione di piacere agli altri, ma non sarà così; quindi comportatevi come siete, e quando troverete qualcuno a cui piacete saprete di piacere loro sul serio. Inoltre così non avrete l’ansia di piacere agli altri e di dover fingere continuamente di non essere voi stessi. Cambiare per volontà propria, non per obbligo imposto da altri.
In ogni caso, usare la ragione va sempre bene, quello come pilastro fondamentale della vostra vita. Voi magari pensate, che ne so, che il socialismo sia una cosa buona, uno vi dà dei motivi per cui il socialismo è sbagliato; e voi ragionate su quello che vi hanno detto e se sono motivi razionali, giusti, oggettivi cambiate opinione. Talvolta se è giusto non è necessario cambiare, potete unire ciò che pensavate prima e ciò che vi hanno detto gli altri per migliorare le vostre idee e voi stessi. Io dato che sono un essere razionale cambio, poi voi magari preferite rimanere così e cazzi vostri. Ovviamente voi dovete piacere a voi stessi, non a me, quindi magari a me non piace che voi non cambiate, ma voi ve ne fottete lo stesso.


Sulla scia di questo enorme sprone a cambiare, gli domando cosa voglia cambiare lui della propria vita. Principalmente, mi risponde, vorrebbe iniziare a seguire le sue aspirazioni con più costanza, abbandonando quell’apatia che lo coglie quando decide di intraprendere vere azioni. Però, un po' alla volta, ci sta già lavorando, sempre nel modo estremamente razionale, ma anche estremamente sensibile, che lo contraddistingue.



venerdì 4 maggio 2018

La morte di un amico. L'intervista a Fauna

Le interviste della serie “Volti Profondi” mirano a raccontare storie diverse, da occhi diversi, per far parlare chi ci circonda e apprendere le diversità e i differenti modi di affrontare la vita, problemi con cui potremmo scontrarci, o chiavi per comprendere gli altri e addirittura noi stessi.
Questo mese vi presento Fauna, una vera forza della Natura: coraggiosa, testarda, leale e sincera, il lavoro non la spaventa. “Sto studiando all’università e cercando un tirocinio, faccio ricerche, leggo molti libri e cerco psicologi già nell’ambito”, mi racconta, perché il suo sogno è quello di diventare una Psicologa per gli Anziani. “E dall’altra parte avere una vita sentimentale stabile con una persona che mi ami e mi rispetti, e viceversa”.

Qual è stata la tua peggiore esperienza?
La perdita di una persona cara. E’ stato quattro anni fa, aveva diciannove anni. Vivevamo un po’ lontani, perché andavamo nello stesso posto d’estate. Fondamentalmente è stato un po’ il mio primo amore, e quindi, anche se poi è finita perché eravamo praticamente bambini, siamo rimasti legati perché ci siamo voluti molto bene. Era una persona molto solare, piena di vita, che aveva appena iniziato a costruire il suo futuro e purtroppo è stato interrotto troppo presto. Ogni giorno muoiono persone giovani, di qualunque età, e quel giorno è toccato a lui. Quello che ricordo di lui è che cercava sempre di proteggermi, anche quando la nostra storia giovanile è finita.
Ho sempre avuto un bellissimo legame anche con i suoi genitori, che continua ancora oggi.

Come hai superato questa perdita?
Be’, io studio Psicologia, quindi ero già in terapia e ne ho parlato con lo psicologo, anche se è stato difficile all’inizio... Ancora oggi quando ci penso sto male, però purtroppo fa parte del ciclo della vita, quindi la cosa più bella che ho potuto fare è ricordare i momenti belli con lui e tenerlo vivo in questa maniera. Anche quando sono andata a trovare la sua famiglia dopo che era successo il fatto, la madre mi ha lasciato un ricordo del battesimo di questo mio amico, che io tengo sempre con me, e anche dei regali che mi aveva fatto ai tempi sono sempre insieme a me, non me ne separo mai, anche perché sono una persona che si attacca un po’ agli oggetti.

Che consiglio daresti a chi dovesse affrontare una simile tragedia?
Direi che bisogna pensare e sperare sempre e che dobbiamo vivere per rendere quella persona che non c'è più orgogliosa di noi... Non abbattersi mai e soprattutto di cercare aiuto anche se si pensa di poter fare tutto da soli...

A proposito degli psicologi, cosa diresti?
Allora, io sono un po’ di parte, ma comunque... Secondo me, tutti quanti abbiamo bisogno di aiuto, che sia per un problema piccolo o un problema grande. C’è chi ha i genitori che possono aiutare, gli amici, e c’è chi invece non si sente compreso oppure non si fida delle persone, e l’aiuto di uno psicologo non vuol dire farsi aiutare perché si è diventati matti, ma perché ci aiuta a superare delle difficoltà che da soli non riusciamo a gestire, perché comunque non siamo onnipotenti. Quando abbiamo un problema per poterlo affrontare è necessario prima di tutto rendersi conto che abbiamo bisogno di aiuto: dopo questo il lavoro è già a metà. Perciò bisogna sempre rendersi conto che non ce la possiamo sempre fare da soli, non perché non si è forti o simili, ma perché l’uomo è un animale sociale.

Fauna aggiunge: “Penso che la vita ci riservi più momenti brutti che belli, però è anche importante ricordarsi di trarre sempre la luce dall'oscurità e che gli amici e l'amore possono salvarti! Quindi non allontanare mai chi ti vuole bene!”.
Lei stessa ama trascorrere il suo tempo con le persone a lei più care, oltre che mangiare, leggere, andare a teatro, ascoltare musica e fare cosplay, che specifica essere “una delle attività che mi tranquillizza di più e che mi rende felice, perché mi permette di stare a contatto con persone fantastiche ed è anche il motivo per cui conosco il mio ragazzo.”

La mia frase preferita è una frase di Renato Zero:
“Non puoi toccare le nuvole se non conosci le lacrime”,
che io ho interpretato così:
tutti noi soffriamo, ma è così che possiamo distinguere la vera felicità,
e quindi è soffrendo che possiamo toccare le stelle con mano.


mercoledì 4 aprile 2018

Voltare pagina dopo una storia di non amore. L'intervista a Ronnie

Volti profondi” è una serie di interviste che mira a narrare storie problematiche che tutti potremmo aver vissuto e che si possono affrontare in modi diversi. E' un modo per insegnarci a vedere al di là delle vite che possono apparirci dorate, un modo per conoscere meglio chi ci circonda, un modo per ascoltare persone vere che parlano di problemi veri, emozioni vere, evoluzioni vere, e dare spazio, per qualche minuto della nostra giornata, a tutti loro, nelle loro diversità.
La prima storia ci viene da un'esperienza di violenza psicologica. In molti (uomini e donne) possono averla vissuta, e Ronnie ci racconta la sua, come l'ha vissuta, e soprattutto come l'ha superata.
Ronnie è una ragazza tosta, genuina. Si descrive come “un camionista ucraino sotto le sembianze di una falsa donna”, che cerca di migliorare i propri “numerosi” difetti. Di recente si è trasferita all'estero, lasciando tutti i suoi parenti e amici in Italia, per stare dai suoi zii, che le stanno insegnando a fare la cameriera e la barista nel loro locale. Si è trasferita perché, dice: “Voglio costruirmi un futuro”, perché in Italia non trovava lavoro.

Qual è il più grande problema che hai affrontato nella tua vita, quello che ti ha fatta stare peggio?
Il farmi sottomettere da un uomo.
Quando dico sottomessa da un uomo, intendo quando qualcuno ti fa violenza psicologica e ti fa sentire sbagliata anche quando sei nel giusto.
"Non fare quello", "Se vai a lavoro, mettiti i miei pantaloni sopra, ancora qualcuno ti guarda il culo", "Non andare in piscina senza di me", "Non fare niente senza la mia presenza". Questa è sottomissione. Quando sei innamorata e annulli te stessa al punto da mettere in luce il tuo partner e fare qualsiasi cosa lui dica, come un robot...
Certi dicono che l'amore è quando senti dentro al petto fare CRAC. Ma quello è il suono del tuo cuore, la tua dignità e il tuo essere donna che si spezza. L'amore è un'altra cosa. L'amore è rispettarsi a vicenda ed essere liberi di poter esprimere la propria opinione senza aver paura che l'altro la seppellisca; l'amore è stare insieme ma avere anche la libertà di poter uscire coi propri amici.
L'amore non è sottomissione. L'amore non è gelosia. L'amore non è possessione. L'amore non fa male. L'amore non fa fare CRAC. L'amore non ti lascia fredda e vuota. L'amore è un'altra cosa e non è una cosa semplice, come canta Tiziano Ferro... il resto sono tutte scuse.

Come hai reagito all'inizio, quando magari non te ne rendevi conto, e come invece l'hai superato?
All'inizio lo sapevo ma facevo finta di niente, perché ero innamorata, quindi ci sono passata sopra… diciamo che avevo la mortadella davanti agli occhi, anche se sapevo com'era, sapevo il suo carattere, sapevo a cosa andavo incontro. Però quando ami una persona o non lo vedi, o lo vedi e fai finta. Perché lo amavo, se no non ci sarei stata tutto questo tempo.

Che rapporto avevi con te stessa in questo periodo?
Conflitto interiore, credo. Da una parte mi andava bene così, però dall'altra non lo riuscivo a mandar giù e non avevo il coraggio di affrontarlo. Non so effettivamente di cosa avessi paura, era come se mi fossi attaccata, era una figura nella mia vita. Lo stare insieme tutti i giorni... era più un'abitudine – ed è brutto quando l'amore diventa un'abitudine.

“Avevo paura di voltare pagina perché sapevo che il finale non sarebbe stato quello che ho sempre voluto, quindi continuavo a fissare quella pagina con la speranza che cambiasse. Poi un giorno ho avuto il coraggio non solo di cambiare pagina, ma addirittura di cambiare libro. E' così che ho iniziato di nuovo a sorridere. [frase anonima, grafica Sear Greyson]”

E quando hai trovato il coraggio di affrontare questa situazione?
Il ventidue ottobre del 2017, alle ore tre e mezza, quando abbiamo avuto una litigata molto brutta. E' nato tutto con il fatto che non dovevo dare soldi ai miei. Mia mamma in quel periodo aveva bisogno, e poiché lavoravo non è che le negavo i soldi. Non le negherei mai nulla – penso che qualsiasi figlio lo farebbe. Comunque, lui si è arrabbiato perché diceva che ormai, non vivendo più con lei, non le dovevo più nulla, e che i miei mi usavano per soldi. Io mi sono arrabbiata e gli ho detto: “Tu i soldi ai tuoi li dai, e io non ti ho mai detto nulla”, cioè io non mi sono mai permessa, e nella discussione mi sono messa a piangere e lui si è incazzato, mi ha buttato tutta la roba in mezzo alla strada. Sono andata a riprenderla, e in quell'attimo ho capito che se era così in quel momento lo sarebbe stato per tutta la vita, mi sono immaginata con due figli, sposata con lui, e non era una bella immagine. Quindi ho finto che fosse tutto a posto – l'ho baciato, gli ho detto: “Ti amo” e l'ho fatto andare a lavoro – e quando lui è tornato a casa io non c'ero più. Gli ho lasciato tutte le sue cose sul tavolino – collane, anelli, tutto. Me ne sono andata senza voltarmi indietro.
Cosa provo adesso? Libertà. Nel senso che adesso posso fare quello che voglio: se mi voglio comprare un paio di scarpe non devo chiedere il permesso a nessuno, se voglio farmi un tatuaggio idem. Sono più libera, e mi sento un po' più indipendente.

A distanza di pochi mesi, quindi, sei riuscita a ritrovare un equilibrio. E prima di questa situazione com'eri con te stessa?
Prima che io e lui ci mettessimo insieme? Mi sentivo come se mi mancasse qualcosa. Ero un po' strana, cercavo una storia a tutti i costi, l'amore per forza… Hai presente quando hai talmente paura di rimanere da sola da volerti mettere con qualcuno per evitare di restare sola? Così è brutto, perché è come scegliere i cereali in base alla scatola e non al sapore. E prima era così, invece adesso no, sto bene da sola – ragazzi non ne voglio, infatti ho anche rifiutato un ragazzo che ci ha provato con me (anche se non so cosa ci trovi in un camionista come me). Mi sono innamorata di Rocky, amo solo lui – Rocky è il cane della casa – quindi va bene così. Ho capito che se non stai bene da sola non puoi stare bene con qualcuno.

Che cosa diresti a qualcuno che si trovasse nella tua situazione?
Prima di tutto: se v'innamorate, innamoratevi, perché è bellissimo, ma dovete far sì che sia con qualcuno che vi ami e vi rispetti, non con qualcuno cui importa fondamentalmente solo di se stesso. Non permettete mai a qualcuno di mettervi i piedi in testa, di annullarvi, di sottomettervi, non dovete cambiare chi siete. Altrimenti soffrirete, e arriverete ad un punto in cui non ne potrete più e ve ne andrete… e quando ve ne andrete passerete per stronzi, quando in realtà non lo siete. Poi dovete stare con una persona quando state bene assolutamente da sole, inutile mettersi con qualcuno solo perché avete paura della solitudine. Tanto di solitudine non è mai morto nessuno. Ci hanno scritto canzoni, quello sì, ma è come comprare i cereali perché sulla scatola c'è il colore dell'arcobaleno e allora pensate: “Hm, dev'essere buono”, e poi in realtà sa di merda!
Per le donne: essere donna è bellissimo, perciò non dovete permettere che vi sopprimano. Potete vivere benissimo senza un uomo.

Ronnie aggiunge: “La vita è bella, te la devi godere, e devi fare tutte quelle cose che vorresti fare ma non hai il coraggio di fare. Che so: viaggiare, farti i tatuaggi, andare a Disneyland, mangiare tante schifezze senza aver paura di ingrassare-ché-l'estate-sta-arrivando… devi sentirti libera e perfetta.”
Lei apprezza la vita in mille piccoli modi: leggendo (anche se non ancora in tedesco, perché non lo capisce), ascoltando la musica, giocando e dormendo con il cane… “Ultimamente sto giocando a Candy Crush, se devo essere sincera!” confessa. E poi, ovviamente, sperando nel suo sogno, quello di diventare doppiatrice di cartoni animati italiani e giapponesi. Sempre lo stesso sin da quando era bambina. “So che un giorno proverò a realizzarlo, perché è una delle cose a cui credo che non rinuncerei mai. E' uno dei motivi per cui leggo tanto: per imitare le voci. Lo faccio anche con il mio nipotino, quando giochiamo, e lui si diverte. (L'unico uomo che amerò e che aspetterò tutta la vita!)”.